Sanità lombarda: cosa cambiare?

📰 Questo è un articolo pubblicato originariamente sulla versione cartacea de La Spinta, Quarta uscita di Marzo 2021. Visita l'archivio e scarica le precedenti uscite.

L’attuale Servizio Sanitario Lombardo fa riferimento alla legge regionale 23 del 2015: siccome si discostava per diversi aspetti dalle indicazioni previste a livello nazionale, la legge è stata approvata come “sperimentazione” per 5 anni: è pertanto tempo di valutazione e di bilanci. Anche ANCI Lombardia, l’associazione che rappresenta i Comuni, ha affrontato l’argomento ed approvato un documento, trasmesso all’Assessore e al Presidente della Regione, nel quale si analizzano problemi che nel corso di questi
cinque anni si sono evidenziati e si indicano alcune possibili soluzioni.
Va aggiunto che la pandemia, ancora in atto, ha costituito per il sistema sanitario lombardo (e non solo) una specie di “stress test” che ha fornito ulteriori elementi di discussione. Il problema maggiore (la valutazione
Ministeriale sull’applicazione della legge parla di “macro nodo”) riguarda
certamente l’organizzazione dell’assistenza territoriale. Infatti in questi cinque anni si è purtroppo assistito ad un arretramento per quanto riguarda i vari servizi sociosanitari per i cittadini nel territorio: dalla quasi scomparsa dei Distretti e dei Consultori Familiari ad un ridimensionamento dell’assistenza domiciliare fino ad una certa “disattenzione” nei confronti dei Medici di Medicina Generale, disattenzione che è stata percepita – soprattutto in questo periodo della pandemia – anche come “solitudine”.
Infatti, accanto a delle vere e proprie eccellenze per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera, soprattutto nei grandi centri e nelle grandi strutture sia pubbliche che private, la Lombardia ha evidenziato
una debolezza per quanto riguarda l’assistenza di base ed anche ospedaliera nelle strutture più piccole e periferiche: basti pensare ad alcuni ospedali come quello di Angera…
Per la verità la legge 23 prevedeva delle strutture territoriali (i PREST e i POT, acronimi impossibili…) che avrebbero dovuto rispondere ai bisogni socio-sanitari “territoriali” dei cittadini senza delegare tutto agli ospedali che invece devono occuparsi delle fasi acute della malattia; purtroppo però alle ipotesi non sono seguiti i fatti e tali strutture sono rimaste… sulla carta.
Il problema però riguarda anche il modello organizzativo del sistema
sanitario previsto dalla legge: al posto delle ASL e delle Aziende Ospedaliere, che ormai tutti i cittadini avevano imparato a conoscere, sono state istituite 8 ATS (Agenzie di Tutela della Salute) e 27 ASST (Aziende Socio Sanitarie Territoriali) affidando alle prime (ATS) la Programmazione e alle seconde (ASST) la gestione dei servizi sia territoriali che ospedalieri. In realtà si sono innescate sovrapposizioni, confusione e, in alcuni casi, veri e propri conflitti di competenze. Anche questo aspetto peraltro è
sottolineato criticamente dalla relazione ministeriale come pure era già stato evidenziato nel documento dell’ANCI.
Fra l’altro questa organizzazione ha prodotto un’altra criticità proprio per i
Comuni che hanno visto diminuirenotevolmente, o addirittu ra annullarsi, la loro funzione di Rappresentanza e di interlocuzione con le Aziende Sanitarie. Infatti la dimensione eccessiva delle ATS (si pensi a quella dell’Insubria che riunisce le province di Como e di Varese) rende quasi impossibile un confronto nella Conferenza dei Sindaci (che riunisce tutti i Comuni delle due Province). Rispetto invece alle ASST, che pure con la legge 23 hanno assorbito anche le attività territoriali (come i Consultori, l’assistenza domiciliare integrata, i servizi per la salute mentale e per le dipendenze ecc.), i Comuni non hanno alcuna interlocuzione né Rappresentanza, con la conseguenza che, proprio nei settori in cui gli aspetti sanitari più si dovrebbero collegare conquelli sociali gestiti dai Comuni, questi ultimi non hanno nessuna voce in capitolo, se non – come va riconosciuto – per la disponibilità dei Direttori Generali.
A questo punto quali sono le indicazioni di ANCI Lombardia? Si propone un percorso di semplificazione abolendo le 8 ATS o meglio raggruppando le funzioni di Programmazione in un’unica ATS regionale. Conseguentemente si devono rafforzare le ASST, rivedendone eventualmente il dimensionamento territoriale. Alle ASST, cui dovrebbero afferire anche il Dipartimento di Cure Primarie (che si occupa dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri) e il Dipartimento di Igiene ePreve nzione, competono tutte le funzioni gestionali dei Servizi su due linee: quella delle cure e dell’assistenza ospedaliera e quelle dell’assistenza sociosanitaria
territoriale, che va significativamente rafforzata. Si sottolinea inoltre
l’importanza di incrementare e favorire le aggregazioni dei MMG e dei Pediatri prevedendo le opportune connessioni con i medici specialisti e garantendo la collaborazione dell’infermiere di famiglia, o di comunità, come previsto anche dalla normativa nazionale. Si propone altresì di ri-potenziare i Distretti sociosanitari garantendo l’integrazione con i servizi sociali dei Comuni. Anche la funzione di Rappresentanza dei Comuni va di conseguenza rivista prevedendo una interlocuzione direttacon le ASST, indicando quali “materie” necessitano obbligatoriamente del parere dei Comuni e quali invece possono essere considerate di semplice consultazione.
Cosa ci si aspetta ora dalla Regione? Certamente l’avvio di un percorso di
consultazione con le varie componenti sociali, gli ordini professionali dei
medici e degli altri operatori sociosanitari, il Terzo Settore, le Organizzazioni Sindacali e soprattutto, ci si augura, con i Comuni per poter affrontare e deliberare poi in Consiglio Regionale le soluzioni più opportune per superare i punti di criticità ed offrire a tutti i cittadini
lombardi una sanità che non si limiti alla cura della malattia ma che favorisca lo stato di salute intesa come ben-essere psicofisico e sociale della persona.