Ospedale Carlo Ondoli: Anno 0.2
📰 Questo è un articolo pubblicato originariamente sulla versione cartacea de La Spinta, Seconda uscita di Luglio 2020. Visita l'archivio e scarica le precedenti uscite.
L’articolo sulla sanità del primo numero de “La Spinta” si era concluso con la nostra promessa di controllare che le promesse della D.A. sul destino dell’Ospedale Ondoli avessero un seguito concreto. Sappiamo tutti quale cataclisma si sia abbattuto sulla sanità lombarda e, probabilmente, non abbiamo ancora piena consapevolezza delle sue conseguenze.
Sicuramente niente sarà come prima, anzi non può né deve esserlo.
Occorre cambiare, lo dobbiamo per il rispetto dovuto alle tante persone che la pandemia ha portato via assieme alle loro storie e ai loro ricordi.
L’epidemia di coronavirus è riuscita anche a far emergere la fragilità della “eccellenza lombarda”, che sicuramente esiste, ma è stata strutturata a scapito della medicina pubblica e della medicina del territorio.
Da anni il personale sanitario illuminato, alcuni politici (non molti) e comitati di cittadini hanno implorato di evitare il taglio dei reparti e dei posti letto nei piccoli ospedali e di depauperare la medicina del territorio cardine della prevenzione.
Altra richiesta, inascoltata, è stata quella di programmare in modo efficiente il numero dei medici specializzati. Sono questi i concetti che abbiamo ripetuto in qualunque contesto siamo stati chiamati ad esporre le nostre opinioni. E purtroppo siamo stati facili profeti e spettatori di un disastro annunciato.
Negli ultimi decenni hanno prevalso la strategia aziendale della centralizzazione e scelte politiche miopi che hanno comportato un coinvolgimento eccessivo della sanitĂ privata.
Per concludere vorrei parlare del personale sanitario, definito eroico, che si è sacrificato anche con la vita (abbiamo lasciato sul campo più di 150 medici). Nessuno li chiamava eroi quando svolgevano il proprio lavoro in turni massacranti per l’organico ridotto per mancata programmazione, nessuno li ha chiamati eroi quando venivano aggrediti nelle sedi di pronto soccorso o nei loro ambulatori da pazienti o parenti ispirati da una stampa che parlava solo della malasanità , nessuno li ha chiamati eroi quando compiendo il loro lavoro salvavano delle vite.
Ma forse lo erano.