I nuovi idoli che divorano noi e le nostre risorse
UN CONFRONTO TRA DUE PUNTI DI VISTA SORPRENDENTEMENTE IN SINTONIA
Umberto Galimberti, nato nel 1942, è un filosofo, psicanalista, accademico, ateo.
Galimberti parte da Nietzsche, che già all’inizio dell’Ottocento affermava che il sistema di valori in essere si stava svalutando, ma non veniva sostituito da altri valori degni di questo nome. Poi Hegel sostenne che, quando un fenomeno aumenta quantitativamente in modo abnorme, produce un cambiamento qualitativo del comportamento umano. Noi pensiamo alla tecnica e al denaro (ecco i nuovi “idoli) come strumenti nelle mani dell’uomo, ma non è più cosi.
Questa opinione di Hegel fu ripresa da Marx quando sosteneva che il denaro è un soltanto mezzo per soddisfare i bisogni e la produzione dei beni.
Se però il denaro diventa la condizione unica per soddisfare qualsiasi bisogno e per produrre qualunque bene, allora il denaro non è più uno strumento ma diventa il primo nostro obbiettivo (il primo idolo). Se questo discorso lo applichiamo alla tecnica, allora la tecnica e non più l’uomo diventa l’unico soggetto della storia (il secondo idolo).
La cosa inquietante è che non disponiamo più di un pensiero alternativo al pensiero della tecnica. La gente si affida ai luoghi comuni, diffusi dai media e dalla televisione, facendosi suggestionare da idee e linee guida non pensate.
Trionfano le idee pigre, mentre è venuto meno l’atteggiamento critico e ci affidiamo solo agli stereotipi e diventiamo gregge in mano di altri.
Già Freud aveva segnalato che il progresso della civiltà comporta regole sempre più precise e vincolanti: abbiamo barattato la nostra felicità per un po’ di sicurezza. C’è un collasso dei sentimenti, delle relazioni autentiche, dell’umanità, delle relazioni.
La dimensione umana è anche sentimento: l’economia ci abitua a misurare la realtà col metro dell’utilità, abbiamo perso i valori del bello, del buono, del sacro, del vero, dell’intimo. L’arte e la bellezza oggi sono condizionate dalle logiche di mercato: se un’opera d’arte resta fuori dal mercato viene vissuta come pura espressione di sé e non come qualcosa di artistico.
Anche la scuola ha perso i suoi scopi fondamentali: è diventata luogo di apprendimento-istruzione più che di educazione. I sentimenti si acquisiscono come le nozioni, si imparano e il luogo privilegiato per insegnarli è la letteratura che ci dà i riferimenti per collocare i nostri stati d’animo – l’amore, il dolore, la noia, l’amicizia ecc. in una narrazione che si acquisisce leggendo. Manca nella scuola di oggi una vera educazione sentimentale.
Perché i ragazzi per dialogare usano lo smartphone? Ai ragazzi manca il linguaggio e i luoghi di socializzazione come gli oratori o le sezioni di partito, vivono di notte perché il giorno li sconfigge.
Anche per gli anziani sono cambiati i luoghi di comunicazione: una volta c’erano i paesi, le cascine, coi loro chiacchiericci e pettegolezzi: ricordo che ‘appartamento’ deriva da ‘appartarsi’. Una volta gli uomini per sapere qualcosa uscivano di casa, oggi rientrano in casa e si mettono davanti allo schermo.
La condizione elementare e fondamentale per continuare a vivere si chiama amore: il Card. Martini l’ha segnalato, con ragione. L’aveva detto bene Freud: la vita funziona se qualcuno ci ama. L’amore è la categoria della vita che comporta la gratuità: oggi la gratuità viene derisa e vista con sufficienza, come qualcosa di patetico. Amore e gratuità sono le due uniche cose che possono dare un minimo di speranza a questa civiltà, ormai assediata solamente dagli interessi e dalla velocità.
Papa Francesco
Vedere l’umanità come un’unica famiglia è il primo modo per essere inclusivi. Se la comunità in cui viviamo è la nostra famiglia, diventa più semplice evitare la competizione per abbracciare l’aiuto reciproco. Come succede nelle nostre famiglie di appartenenza, dove la crescita vera, quella che non crea esclusi e scarti, è il risultato di relazioni sostenute dalla tenerezza e dalla misericordia, non dalla smania di successo e dalla esclusione strategica di chi ci vive accanto. La scienza, la tecnica, (il primo idolo) il progresso tecnologico possono rendere più veloci le azioni, ma il cuore è esclusiva della persona per immettere un supplemento di amore nelle relazioni e nelle istituzioni.
Come ho scritto nell’Evangelii Gaudium: con l’azione dell’esclusione non veniamo privati di ogni potere, bensì siamo sbattuti fuori. Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato, spinto fuori dalla società. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide perché mette obbedisce solo al denaro (il secondo idolo): quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti.
Abbiamo un’etica non amica della persona quando, con indifferenza, non siamo capaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri. Un’etica amica della persona diventa un forte stimolo per la conversione. Abbiamo bisogno di conversione. Manca la coscienza di un’origine comune, di una appartenenza a una radice comune di umanità e di un futuro da costruire insieme. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita.
Un’etica amica della persona tende al superamento della distinzione rigida tra realtà votate al guadagno e quelle improntate non all’esclusivo meccanismo dei profitti, lasciando un ampio spazio ad attività che costituiscono e ampliano il cosiddetto terzo settore. Nello stesso documento è esplicito il messaggio perché l’attività finanziaria sia al servizio dell’economia reale
Dietro ogni attività c’è una persona umana. Non esiste attività che non abbia origine dall’uomo. I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro. E’ il lavoro che conferisce la dignità all’uomo non il denaro. La disoccupazione è la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro. La speranza non è semplice ottimismo, per questo dico spesso anche ai giovani non lasciatevi rubare la speranza. Dobbiamo anche essere furbi, perché il Signore ci fa capire che gli idoli sono più furbi di noi, ci invita ad avere la furbizia del serpente con la bontà della colomba.
La distribuzione e la partecipazione alla ricchezza prodotta, l’inserimento dell’azienda in un territorio, la responsabilità sociale, il welfare aziendale, la parità di trattamento salariale tra uomo e donna, la coniugazione tra i tempi di lavoro e i tempi di vita, il rispetto dell’ambiente, il riconoscimento dell’importanza dell’uomo rispetto alla macchina e il riconoscimento del giusto salario, la capacità di innovazione sono elementi importanti che tengono viva la dimensione comunitaria di un’azienda. Perseguire uno sviluppo integrale chiede l’attenzione ai temi che ho appena elencato.
Mi viene in mentre il Beato Paolo VI che nell’enciclica Populorum progressio scriveva: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: “noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera”».
L’attività economica non riguarda solo il profitto ma comprende relazioni e significati. Da questo punto di vista il significato dell’azienda si allarga e fa comprendere che il solo perseguimento del profitto non garantisce più la vita dell’azienda. Ancora Paolo VI affermava nella Populorum progressio che «la legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate: allora è uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si spiega quindi come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi una legge di giustizia. La cosa cambia, però, quando le condizioni siano divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano “liberamente” sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale”».
Credo sia importante lavorare insieme per costruire il bene comune ed un nuovo umanesimo del lavoro, promuovere un lavoro rispettoso della dignità della persona che non guarda solo al profitto o alle esigenze produttive ma promuove una vita degna sapendo che il bene delle persone e il bene dell’azienda vanno di pari passo. Aiutiamoci a sviluppare la solidarietà ed a realizzare un nuovo ordine economico che non generi più scarti arricchendo l’agire economico con l’attenzione ai poveri e alla diminuzione delle disuguaglianze. Abbiamo bisogno di coraggio e di geniale creatività.