Una storia plausibile
📰 Questo è un articolo pubblicato originariamente sulla versione cartacea de La Spinta, Seconda uscita di Luglio 2020. Visita l'archivio e scarica le precedenti uscite.
Una vecchia vela in disarmo, un nome a poppa che si legge a fatica: I Diritti dell’Uomo. Gli anni Quaranta del secolo scorso l’hanno vista cavalcare felice le onde del nostro lago nei giorni di vento e di sole, di lotta, di aspettative e soprattutto di gioventù. Ha solcato il lago tante e tante volte insieme a due giovani amici, che hanno condiviso la gioia della vela e la passione politica, cospirando tra i suoi fragili legni che nascondevano parole proibite.
Gianni Tedeschi e Mario Greppi, amici di vela e compagni di idee. A volte con loro anche Manlio Della Chiesa, ma nessun altro. Chi avrà scelto il suo nome? Non lo sapremo mai, ma la storia straordinaria che voglio raccontare, che lega I Diritti dell’Uomo alla lotta contro i nazifascisti, è stata definita “plausibile” dalla figlia di una delle sue protagoniste e per questo mi sento autorizzata a riproporla, ripercorrendo i tragici fatti avvenuti dopo l’armistizio del 1943 sulla sponda piemontese del Lago Maggiore.
Qualche tempo fa, Ugo Violini, che al momento dei fatti che andrò a raccontare era un ragazzino, troppo giovane per appartenere alla compagnia di Gianni e Mario, ma appena minore di mia madre Maddalena, raccontandomi aneddoti sui miei familiari, ormai tutti scomparsi, mi ha chiesto se sapevo che fine avesse fatto i Diritti dell’Uomo. Non avevo la minima idea di che cosa mi chiedesse e quando mi ha spiegato che si trattava della barca a vela sulla quale Gianni Tedeschi e lo zio Mario Greppi passavano i loro pomeriggi estivi durante gli anni del fascismo, complottando, al sicuro da orecchie indiscrete, ho realizzato che si trattava di quella barca dalla vela bianca della quale mia madre parlava, col dolore che le si leggeva negli occhi, ogni rara volta che riusciva a citare suo fratello.
Ugo Violini mi aveva suggerito di chiedere notizie agli Ondoli, che un tempo rimessavano le barche in un capanno, dove lui ricordava di aver visto, non molti anni prima, I Diritti dell’Uomo che pendeva dal soffitto.
Ho chiesto a Mario Ondoli se per caso ricordasse una vela con quel nome così particolare. Certo che sì, ma era tornata ai proprietari da molti anni e doveva essere ricoverata in una rimessa della grande Casa Rosa Borromea, in Piazza Garibaldi, di fronte al Porto Asburgico. Tramite una cugina dei Tedeschi, sono riuscita a sapere che la barca in questione era stata venduta, non molto tempo prima, ad un non meglio specificato museo di Laveno.
Cercando in rete mi sono imbattuta nel sito dell’Associazione Vele d’Epoca del Verbano. Ho mandato una mail e a stretto giro mi è arrivata la risposta di Paolo Sivelli, direttore della stessa, che mi confermava di aver acquistato la barca e si dichiarava molto felice che io avessi qualche notizia in più su questo “barchino” con un nome così particolare, che presupponeva un passato non comune. Gli ho mandato degli stralci di lettere dello zio Mario del 1942, dalla scuola ufficiali pilota di Fano, nelle quali si augura di poter correre sul lago con la barca di Gianni e un brano del “Bravo Ragazzo”, nel quale il nonnoparladellapassionedelfiglio per la vela.
Tuttavia, c’era qualcosa che mi ronzava in testa e mi spingeva a cercare di andare avanti nelle ricerche anche se, fino ad allora, non ero riuscita a collegare due fatti, che parevano del tutto indipendenti. Poi, come spesso accade, ho avuto un’illuminazione!
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