Giochiamo (ma non troppo)
📰 Questo è un articolo pubblicato originariamente sulla versione cartacea de La Spinta, Seconda uscita di Luglio 2020. Visita l'archivio e scarica le precedenti uscite.
Per gioco si intende “l’esercizio singolo o collettivo a cui si dedicano bambini o adulti, per passatempo, svago, ricreazione o con lo scopo di sviluppare l’ingegno o le forze fisiche”.
Il gioco d’azzardo (da azzahr: dado in arabo) è invece una tipologia di gioco nel quale ricorre il fine di lucro.
Da queste premesse, giocare o concedersi il piacere di tentare la sorte di tanto in tanto, con investimenti ragionevoli è del tutto naturale e lecito.
Però quando il desiderio di giocare diventa persistente e non controllabile, allora, quello che doveva essere un divertimento, si trasforma in una vera e propria malattia psichiatrica: GAP (gioco d’azzardo patologico) o ludopatia. Per le sue analogie comportamentali con l’abuso di droghe e alcool e per il sovrapponibile coinvolgimento di circuiti nervosi cerebrali implicati nel meccanismo di compenso, il GAP è attualmente inserito nella sezione dedicata ai disturbi della dipendenza.
La causa esatta del GAP attualmente non è nota, ma si ritiene che l’insorgenza sia legata all’interazione sfavorevole di fattori patologici, genetici e ambientali.
Il moltiplicarsi delle occasioni e delle modalità con le quali sfidare la sorte, la scarsa consapevolezza delle basi matematiche del gioco d’azzardo, l’esposizione ad una elevata offerta specie se associata a messaggi fuorvianti sulle effettive possibilità di vittoria, induce soggetti sensibili e predisposti a cadere nella trappola.
La quantità di denaro che ogni anno gli italiani investono nel gioco d’azzardo è costantemente in aumento; in particolare ad Angera nel 2018 ciascun cittadino ha impegnato quasi 1000 euro e visto che i minorenni non possono giocare, qualcuno degli adulti non gioca, altri spendono moderatamente per divertirsi, fate un calcolo e concluderete che qualcuno si gioca una fortuna senza rendersi conto di essere malato (con una possibilità di essere curato).
Su questi dati nessuno vuole demonizzare il gioco d’azzardo, antico come il mondo, oltretutto il cittadino si diverte, l’operatore e lo stato ci guadagnano e non poco; sembra che l’ammontare delle entrate per l’erario sia equivalente a quello derivante dalla tassazione sulla casa.
Ma gli individui che giocano troppo rovinano se stessi e la famiglia, che
si rende conto del disastro quando ormai un fiume di denaro se ne è andato.
Abolire il gioco d’azzardo legale è improponibile, viste le premesse, ma forse si può rendere meno facile e meno frequente le possibilità di accesso. Si potrebbe fare una campagna per abolirne la pubblicità in televisione e sulla stampa, come è successo con le sigarette e l’alcool. Inoltre lo stato è già presente nella terapia e nella prevenzione del GAP, ma le azioni messe in atto non risultano essere sufficientemente pubblicizzate e perciò meno efficaci e spesso restano solo sulla carta.
Gli educatori, che in teoria dovrebbero operare in ambito scolastico nella realizzazione di progetti di prevenzione, risultano interpellati e coinvolti in modo poco sistematico. Sarebbe auspicabile che ogni amministrazione comunale, fosse capace di superare remore di natura burocratica o di convenienza “politica”, contattando gli enti competenti pubblici e privati disponibili a fare opera di informazione nelle scuole e verso la cittadinanza.
Questi interventi di natura educativa dovranno sviluppare nei giovani e negli anziani la consapevolezza del proprio atteggiamento rispetto al gioco e rafforzarne le difese nei confronti degli aspetti patologici nonché la capacità di intervenire per prevenirli.